Il concetto di gruppo è stato introdotto sin dall’inizio della psicoanalisi, ma è sempre stato considerato come la parte traumatica della psicoanalisi.
Freud inizialmente introduce il concetto di gruppo psichico come un modello dell’organizzazione e del funzionamento intrapsichico. Il gruppo psichico è costituito da una serie di elementi (neuroni, pulsioni, ecc.) legati tra loro che formano una certa massa e che funzionano come degli attrattori di legame. Questo stabilisce dei rapporti di tensione con altri elementi che sono in grado di modificare certi equilibri. L’io rappresenta questo gruppo psichico, e l’inconscio rappresenta il gruppo psichico scisso.
L’interesse di Freud per questi argomenti cresce, e nel libro Totem e Tabu (1912) avanza in conclusione un ipotesi di anima di gruppo. Più in particolare dei processi psichici, secondo l’autore, sono inerenti a insiemi intersoggettivi, ciò implica che la realtà psichica non è localizzata interamente nel soggetto, considerato nella singolarità del suo apparato psichico.
Da questi anni in poi, si possono individuare tre modelli che cercano di spiegare il passaggio dall’individuo alla serie.
Il primo modello introduce la nozione che la realtà psichica del gruppo si ricava dagli effetti dell’alleanza fraterna per uccidere il Padre dell’Orda primitiva. Successivamente in “Psicologia delle masse e analisi dell’Io”(1921) viene descritto un secondo modello, secondo il quale l’identificazione è il punto centrale che ordina la struttura libidica dei legami intersoggettivi. Nel terzo modello, del 1929, Freud assume come principio la rinuncia reciproca alla realizzazione diretta delle mete pulsionali. In questo modo si rende possibile lo sviluppo delle opere di civilizzazione.
Questi tre modelli, quindi, individuano tre ipotesi fondamentali, l’ipotesi di un organizzazione gruppale della psiche individuale; l’ipotesi che il gruppo è il luogo di una realtà psichica specifica; l’ipotesi che la realtà psichica del gruppo precede il soggetto e la struttura.
Le ipotesi avanzate da Freud, furono utili a molti autori che le ampliarono sviluppando applicazioni terapeutiche. Il primo a fare questo fu Burrow, il quale propose la psicoanalisi a dei soggetti riuniti in gruppo. Dopo di lui, Slavson, utilizzò un gruppo di bambini e adolescenti per attuare un trattamento, con l’obiettivo di far realizzare dei buoni rapporti tra i bambini. Alla base di questa pratica c’è l’idea che ogni psicopatologia si costituisce in un ambiente familiare traumatizzante. In questo caso il gruppo deve assicurare un restauro delle funzioni dell’Io, permettendo un controllo delle pulsioni e un rafforzamento all’adattamento alla realtà.
Questi autori pensano al gruppo come entità funzionale, e solo negli anni 40 si penserà al gruppo come entità specifica.
Molti autori dell’epoca si trovavano in condizioni poco favorevoli, ed erano costretti a lavorare in situazioni d’urgenza (nevrosi prodotte dalla guerra) sia a livello economico che psichico. Uno di questi autori fu Bion, a Londra, il quale ha sviluppato un modello per spiegare le formazioni e i processi della vita psichica nei gruppi. L’autore considera il gruppo come un entità specifica e i fenomeni che vi avvengono, come gruppali. Bion distingue due modalità di funzionamento del gruppo: gruppo di lavoro (in cui prevalgono i processi secondari di presentazione dell’oggetto e dell’obiettivo del gruppo) e gruppo di base (in cui predominano i processi primari sotto forma di assunti in tensione con il gruppo di lavoro). Gli assunti di base sono inconsci e costituiti da emozioni di origine primitiva, che svolgono una funzione importante nella soddisfazione dei bisogni dei membri.
Un altro autore, in questa scia, ha costituito la Group Analysis, Foulkes. L’autore, conservando l’approccio gestaltista, considera la totalità precedente alle parti, in particolare la gruppo analisi studia le formazioni e i processi psichici che si sviluppano in un gruppo.
Alla base di questa teoria ci sono cinque idee principali: ascoltare, comprendere e interpretare il gruppo come totalità nel “qui ed ora”; la presa in considerazione del solo transfer di gruppo sull’analista; la nozione di risonanza inconscia tra i membri del gruppo; la tensione comune e i fantasmi inconsci comuni; la nozione del gruppo come matrice psichica.
Le prime teoria psicoanalitiche del gruppo considerano il gruppo come entità specifica. In questo modo differenziano lo spazio intrapsichico riconosciuto nella psicoanalisi del singolo individuo e uno spazio psichico generato dai legami di gruppo. Il gruppo, non è quindi la somma dei processi individuali, ma possiede un organizzazione specifica. I contributi dei membri del gruppo contribuiscono alla formazione della mentalità di gruppo e sono subordinati alla matrice gruppale.
In argentina, la psicoanalisi, è caratterizzata da due autori, Pichon-Riviere e Bleger. Il primo postula una psicologia sociale, il cui oggetto di studio è lo sviluppo e la trasformazione tra la struttura sociale e la configurazione del mondo interno del soggetto. Tale rapporto viene affrontato con il termine di legame. L’autore sostiene che non c’è niente nel soggetto che non sia il risultato dell’interazione tra l’individuo, i gruppi e le classi. In questa prospettiva, il soggetto è come incluso in un gruppo alla cui base c’è la famiglia, e la comparsa di una psicosi in un membro della famiglia è un emergente che si prende a carico la malattia mentale di tutta la famiglia.
Bleger, invece, fa una distinzione tra sociabilità sincretica e sociabilità per interazione. Per sincretismo si intende uno stato di non discriminazione che compone la realtà psichica dell’individuo, ma anche di ogni gruppo e di ogni situazione. Invece, per sociabilità per interazione si indente un rapporto d’oggetto interno, una differenziazione nello spazio psichico e nello spazio intersoggettivo.
In Francia, lo sviluppo della psicoanalisi di gruppo è stato favorito dalle condizioni economiche dopo il secondo conflitto mondiale. Infatti era molto più conveniente analizzare più persone contemporaneamente. Inoltre, alcuni autori criticando la psicoanalisi dei gruppi (so sentendo che applicava la psicoanalisi in modo troppo superficiale), ha dato maggior spinta per uno studio di essa più approfondito. In generale le tesi dei psicoanalisti francesi si possono racchiudere in tre affermazioni: il piccolo gruppo come oggetto, ovvero il gruppo viene riconsiderato come oggetto psichico per i soggetti (il gruppo è oggetto di investimenti pulsionali e di rappresentazioni inconsce per i membri); il gruppo come realizzazione di pensieri inconsci (il gruppo inteso come il sogno, luogo della realizzazione immaginaria dei desideri inconsci); l’assemblaggio gruppale delle menti, il gruppo inteso come luogo di una realtà psichica propria (l’apparato psichico gruppale gestisce e produce questa realtà, alla cui base ci sono degli organizzatori inconsci, descritti come gruppi interni).
Si possono differenziare tre tendenze principali che suddividono le teorie psicoanalitiche di gruppo. La prima è centrata sul gruppo come luogo di una realtà che gli è propria. La seconda si riferisce al soggetto nel gruppo, rivolgendo l’attenzione agli aspetti della realtà psichica che il gruppo mobilita nei soggetti che formano legame nel gruppo. La terza tendenza si preoccupa di capire in che modo il gruppo contribuisce a organizzare la vita psichica del soggetto.
L’inconscio è l’ipotesi costitutiva della psicoanalisi. La psicoanalisi ha costruito una situazione adatta ad affrontare i processi e le formazioni dell’inconscio nella psiche di un soggetto considerato nella sua singolarità. Nel momento in cui un nuovo oggetto, il gruppo, si propone alla conoscenza psicoanalitica, è fondamentale costruire una situazione di riferimento che consenta di qualificare le caratteristiche dell’oggetto dal punto di vista dell’ipotesi psicoanalitica. La domanda quindi diventa, in che modo il gruppo può far apparire delle formazioni inconsce, altrimenti inaccessibili?
Sono tre le caratteristiche metodologiche principali della situazione psicoanalitica in gruppo: la pluralità, il faccia a faccia e l’interdiscorsività. Il gruppo, soprattutto perché racchiude persone estranee al momento iniziale, crea un eccitazione interna e un coeccitazione reciproca che si alimentano in identificazioni reciproche. Questa pluralità, queste esperienze, possono essere traumatogene se i dispositivi anti-eccitatori sono insufficienti. Vengono così realizzare certe condizioni che formano l’inconscio originario, secondo l’idea originale di Freud (l’inconscio si costituisce in occasione della rottura dello scudo protettivo contro gli stimoli).
Il transfert, è un altro concetto che assume un aspetto particolare nei gruppi. Si inseriscono infatti i transfert multilaterali, in quanto si riferiscono all’analista, ma anche agli altri membri del gruppo. Molti transfert, per i diversi membri, sono connessi tra di loro, e il lavoro dello psicoanalista è proprio quello di rilevare queste connessioni. In questo modo, è possibile conoscere i rapporti che il soggetto intrattiene con i suoi oggetti inconsci e con gli oggetti inconsci degli altri. Naturalmente, il fatto che non sia solo lo psicoanalista a subire i transfert, definisce delle condizioni particolari di controtansfert.
È importante anche, in situazioni in cui ci siano più psicoanalisti in un gruppo, adottare degli intertransfert, ovvero la realtà psichica degli psicoanalisti in quanto indotta dai loro legami nella situazione di gruppo. L’analisi intertransferale riguarda l’elaborazione ordinata alla funzione psicoanalitica in questa modalità del dispositivo trans ferale.
L’aspetto della pluralità ha un incidenza anche sulle associazioni, infatti queste sono molto più complesse nelle dinamiche di gruppo.
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